A cura di Monica Almici

L’US National Institute of Aging e l’Alzheimer Association hanno pubblicato nel 2018 nuovi criteri diagnostici di ricerca per la malattia di Alzheimer, introducendo un metodo diagnostico basato sui soli requisiti neurobiologici (presenza di β-amiloide, tau e neurodegenerazione), indipendentemente dall’espressione fenomenologica della malattia. 
A tre anni di distanza, un gruppo internazionale di scienziati dediti allo studio delle demenze pubblica una revisione critica di tali criteri. L’uso di una definizione di malattia puramente biologica presenta infatti limiti e criticità sia teoriche che pratiche: diventa a troppo ampio spettro; rende difficile la prognosi per i soggetti cognitivamente sani o con decadimento cognitivo lieve; complica l’identificazione di comorbilità e la diagnosi differenziale con patologie che condividono le medesime lesioni cerebrali; manca una soglia di positività dei biomarcatori PET; non è facilmente accessibile; solleva problemi etici.
Gli autori raccomandano di limitare la diagnosi di malattia di Alzheimer a quei soggetti dove i criteri biologici si presentano di concerto con quelli clinici. Laddove invece i biomarcatori positivi per la malattia non sono accompagnati da decadimento cognitivo, si suggerisce la dicitura “a rischio di progressione”. I soggetti cosiddetti a rischio potrebbero essere suddivisi in due sottogruppi. Un primo gruppo costituito dai soggetti che potrebbero non sviluppare mai una demenza e/o rimanere stabili per un lungo periodo, grazie a meccanismi compensatori del processo neurodegenerativo in corso o perché non incorrono nella neurodegenerazione nonostante abbiano le lesioni cerebrali tipiche dell’Alzheimer. Chi invece probabilmente progredirà verso l’Alzheimer prodromico o la demenza, perché non utilizza meccanismi compensatori sufficientemente efficaci o perché ha un’accelerata neurodegenerazione, rientrerebbe nel secondo gruppo.
Tale distinzione non sarebbe puramente speculativa, ma utile ai fini sperimentali, permettendo di individuare fattori protettivi e di sviluppare algoritmi in grado di predire la progressione.

Potete trovare ulteriori informazioni al seguente link:

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33933186/