A cura di Valentina Saletti

In una recente intervista pubblicata su Neuro Central, il Prof. Giovanni Battista Frisoni ci riassume i concetti fondamentali della presentazione che ha tenuto in occasione della passata Alzheimer International Conference (AAIC) tenutasi a Chicago a luglio. Grazie ai numerosi studi condotti negli scorsi anni sono state individuate le proteine tossiche che portano allo sviluppo della malattia di Alzheimer e di altre demenze, ma non è noto perché tali proteine si depositino nel cervello. Secondo il Prof. Frisoni una possibile strada per comprenderne il motivo e prevenirne il deposito è da ricondurre ai miliardi di batteri che ci portiamo in giro ogni giorno nel nostro intestino. Come spiega nell’intervista, durante la sua presentazione il Prof. Frisoni ha voluto revisionare la nozione secondo cui gli esseri umani si sono evoluti dai batteri a partire da 3.5 miliardi di anni fa. In realtà l’Uomo, e con lui tutti gli animali, si sono evoluti con i batteri. Questi sono stati intimi compagni di strada, non a fianco degli organismi superiori, ma dentro di loro durante tutta l’evoluzione. Secondo il senso comune i batteri sono “cattivi” e il nostro corpo ci protegge da essi; come ci spiega il Prof. Frisoni “il problema sta nel fatto che ci sono circa 80 specie di batteri cattivi di cui sappiamo molto, ma ci sono anche 10.000 batteri antichi e buoni con cui conviviamo ogni giorno e di cui non conosciamo nulla. Essi sono necessari per il corretto funzionamento dei nostri polmoni, del fegato, del cuore, del cervello e dell’intero corpo”. Quando gli viene chiesto dove spera sarà la ricerca tra 5-10 anni, Frisoni risponde “con un po’ di fortuna potremmo già avere qualche evidenza dell’efficacia di alcune specie batteriche o miscele di specie diverse in modelli animali. Questo è qualcosa che gli scienziati stanno già studiando. (..) Se saremo capaci di identificare i batteri buoni, questi potrebbero essere trapiantati nei modelli animali di Alzheimer (..), se il topo non svilupperà la malattia, forse anche gli esseri umani, trattati con gli stessi batteri, non lo faranno.” Frisoni conclude che “come medico, spero fra 10 anni di non dover più diagnosticare e curare pazienti con problemi di memoria, ma prevenire i disturbi di memoria in persone in cui tali problemi non sono ancora esorditi. Si fa questo con patologie come l’ictus: usiamo farmaci per trattare in anticipo il colesterolo e l’ipertensione. Svilupperemo farmaci e interventi preventivi in persone ad alto rischio di Alzheimer, che non presentano la malattia.” Prevenzione, quindi, è la parola chiave per il futuro della ricerca sull’Alzheimer.

Potete trovare l’intervista su: https://www.neuro-central.com/2018/09/04/gut-microbiome-alterations-alzheimers-disease-interview-giovanni-frisoni/

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