In alcuni studi epidemiologi è stato osservato che avere alti livelli plasmatici dell’aminoacido omocisteina (tHcy) rappresenta un fattore di rischio per l’insorgenza di demenza. Come emerso anche da studi di tipo longitudinale e trasversale esiste una correlazione stretta tra elevati livelli dell’amminoacido e declino cognitivo valutato con test neuropsicologici. I malati di Alzheimer presentano infatti livelli di omocisteina più alti rispetto ai controlli. Uno studio, The Vitamin Intervention in Stroke Prevention trial, ha mostrato inoltre l’associazione tra alti livelli di omocisteina e ridotta funzione cognitiva dopo un evento vascolare acuto (ictus). Tuttavia, i risultati ad oggi ottenuti non permettono di trarre conclusioni su un possibile ruolo dell’omocisteina nella progressione dell’AD, a causa del limitato numero di casi considerati. In merito ad un ampio studio randomizzato sull’integrazione con acido folico e vitamina B per 18 mesi come terapia per ridurre i livelli di omocisteina nei malati di Alzheimer, pubblicato nel corso del 2008, sulla prestigiosa rivista Neurology è stato recentemente commentato che nonostante la riduzione misurabile dei livelli di omocisteina, le prestazioni cognitive dei pazienti valutate secondo la scala ADAS-cog (Alzheimer’s Disease Assessment Scale-cognitive subscale) non differivano da quelle del gruppo trattato con placebo. Si sono verificati invece effetti collaterali, quali episodi di tipo depressivo, nel gruppo a cui è stata somministrata la dose maggiore di integratori. L’autore del commento associa questi risultati a quelli del trial The Vitamin Intervention in Stroke Prevention e sottolinea che un’integrazione vitaminica può ridurre efficaciemente alti livelli di omocisteina, ma che tale intervento non contribuisce a migliorare le performance cognitive nel malato AD.