A cura di Monica Almici

van Loenhoud AC, van der Flier WM, Wink AM, Dicks E, Groot C, Twisk J, Barkhof F, Scheltens P, Ossenkoppele R; Alzheimer’s Disease Neuroimaging Initiative.
Cognitive reserve and clinical progression in Alzheimer disease. A paradoxical relationship
Neurology. 2019 Jul 23;93(4):e334-e346.

L’idea di senso comune che la personale riserva cognitiva (RC) sia un fattore di resilienza, capace sia di attenuare gli effetti di danni e lesioni cerebrali, sia di ritardare lo sviluppo delle demenze, ha sollevato negli ultimi anni l’interesse della comunità scientifica.

È in questa direzione che si colloca il presente lavoro, volto ad approfondire la relazione tra RC e progressione dei sintomi clinici lungo lo spettro della malattia di Alzheimer.

Gli autori hanno attinto dalla banca dati sull’Alzheimer ADNI selezionando 839 soggetti positivi alla βamiloide, in un ventaglio che va dalla normalità (NC, n. 175) alla demenza di Alzheimer (AD, n. 227), passando per il decadimento cognitivo lieve (MCI, n. 437). Nel campione, con età tra i 55 e i 91 anni, la positività all’amiloide è stata valutata tramite una PET con specifico tracciante oppure tramite dosaggio della proteina nel liquido cerebrospinale. Per ciascun soggetto erano disponibili una risonanza magnetica cerebrale e una valutazione neuropsicologica.

Il concetto di RC è stato operazionalizzato confrontando il livello di danno cerebrale di ciascun soggetto (atrofia della sostanza grigia e iperintensità della bianca) con quello che ci si aspetterebbe sulla base della performance cognitiva: vi è alta RC laddove il danno cerebrale è maggiore di quello atteso, e viceversa.

Sia i NC che gli MCI con alta RC hanno mostrato un più lento esordio dei sintomi e una loro più lenta progressione. Quando si manifestava la demenza vera e propria si osservava invece un’inversione di tendenza: da questo momento i soggetti con maggiore RC andavano incontro ad un declino cognitivo più rapido. Questi risultati suggeriscono che una maggiore RC sia protettiva nelle fasi precliniche di demenza, mentre questo vantaggio si perde nella fase clinica.

Uno sviluppo interessante di tali risultati potrebbe essere stratificare i soggetti che partecipano alle sperimentazioni farmacologiche tenendo conto della loro personale RC, per evitare i bias, sia in termini di falsi positivi che di falsi negativi, che rendono difficile valutare l’efficacia delle molecole sperimentali.

Potete trovare ulteriori informazioni al seguente link:
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/31266904