A cura di Elena Rolandi

Earliest accumulation of β-amyloid occurs within the default-mode network and concurrently affects brain connectivity.
Palmqvist S, Schöll M, Strandberg O, Mattsson N, Stomrud E, Zetterberg H, Blennow K, Landau S, Jagust W, Hansson O.
Nat Commun. 2017 Oct 31;8(1):1214. doi: 10.1038/s41467-017-01150-x.

Le placche di amiloide iniziano a formarsi nel cervello decenni prima dell’esordio di demenza di tipo Alzheimer. Ma dove inizia e come si espande l’accumulo di amiloide nel cervello nelle fasi che precedono i sintomi clinici?  
Un team di ricercatori svedesi ha cercato di rispondere a questo quesito analizzando i dati longitudinali di neuroimmagine appartenenti a 473 partecipanti allo studio ADNI (http://adni.loni.usc.edu/), con età compresa tra i 55 e i 90 anni e classificati come cognitivamente sani o con deficit cognitivo lieve. I soggetti sono stati suddivisi in 3 sottogruppi combinando la positività/negatività (+/-) alla PET per l’amiloide e al dosaggio del peptide Aβ42 nel liquor cerebrospinale (CSF) come segue: CSF-/PET-, CSF+/PET-, CSF+/PET+. È infatti stato dimostrato che livelli patologici di beta-amiloide nel CSF precedono la positività alla PET, pertanto il profilo CSF+/PET- è stato considerato come indicatore precoce di accumulo patologico di beta-amiloide.
In questo gruppo i ricercatori hanno rilevato un accumulo annuale di amiloide significativo rispetto al gruppo di controllo nella corteccia mediale orbito-frontale, nella corteccia cingolata, nel precuneo e, in misura minore, nelle regioni temporali. Tali aree, confermate in una coorte indipendente di 406 soggetti (http://biofinder.se/), mostravano una buona corrispondenza spaziale con il Default Mode Network (DMN), una rete cerebrale maggiormente attiva nelle condizioni di riposo e disattivata durante l’esecuzione di compiti e nell’interazione con l’ambiente esterno. Negli “accumulatori precoci” (CSF+/PET-) non si rilevava un aumento di atrofia o una riduzione di metabolismo cerebrale significativi nel tempo, contrariamente a quanto invece trovato in soggetti con accumulo più avanzato (CSF+/PET+). Tuttavia, nella coorte indipendente, gli accumulatori precoci mostravano una riduzione di connettività cerebrale alla risonanza magnetica funzionale all’interno del DMN e tra questo e il network fronto-parietale rispetto ai controlli (CSF-/PET-).
Questo studio, utilizzando una metodologia solida e replicabile, pone le basi per una più profonda comprensione della successione temporale delle alterazioni patologiche tipiche della malattia di Alzheimer rilevabili in-vivo. I risultati hanno importanti implicazioni pratiche: gli accumulatori precoci potrebbero essere infatti una popolazione ideale per sperimentazioni con farmaci anti-amiloide in fase preclinica.

È possibile visionare l’articolo originale al seguente link.
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/29089479