A cura di Giulia Merlin

Tau-negative amnestic dementia masquerading as Alzheimer disease dementia.
Hugo Botha, William G. Mantyh, Jonathan Graff-Radford, Mary M. Machulda, Scott A. Przybelski, Heather J. Wiste, Matthew L. Senjem, Joseph E. Parisi, Ronald C. Petersen, Melissa E. Murray, Bradley F. Boeve, Val J. Lowe, David S. Knopman, Clifford R. Jack and David T. Jones
Neurology. 2018 Feb 7.  doi: 10.1212/WNL.0000000000005124. [Epub ahead of print]

La malattia di Alzheimer (AD) è caratterizzata dalla presenza di placche di proteina beta-amiloide e grovigli neurofibrillari di proteina tau-iperfosforilata. Entrambe queste proteine iniziano ad accumularsi nel cervello diversi anni prima della comparsa dei sintomi clinici.  Negli ultimi anni, grazie allo sviluppo di diversi radioligandi per la tomografia ad emissione di positroni (PET), si è in grado di rilevare in vivo il carico di beta-amiloide (A) o di tau (T) nel cervello. La possibilità di poter quantificare l’accumulo di queste proteine ha cambiato di molto l’approccio alla diagnosi di AD, permettendo di identificare ad uno stadio molto precoce la malattia. Botha e colleghi hanno condotto uno studio su otto soggetti con diagnosi clinica di decadimento cognitivo lieve di tipo mnestico o di AD per verificare come la presenza di beta-amiloide non sia sufficiente per una diagnosi corretta di AD. I partecipanti sono stati sottoposti ad una PET per la proteina amiloide, una PET per la proteina tau, una risonanza magnetica cerebrale (MRI) e ad una batteria di test per valutare le funzioni cognitive. Dalle immagini PET è stata quantificata la presenza di A e T, mentre dalla MRI sono stati estratti il volume dell’ippocampo e gli spessori corticali. Tutti i partecipanti presentavano atrofia ippocampale, tre dei quali mostravano anche atrofia in altre regioni AD-specifiche. Quattro partecipanti risultavano essere positivi ad A mentre nessuno era positivo a T, perciò i sintomi cognitivi riportati e la neurodegenerazione osservata non potevano essere attribuibili ad una patologia AD in atto. Il presente studio vuole evidenziare come, per una corretta diagnosi di AD, siano necessarie sia la presenza di placche amiloidi che grovigli neurofibrillari oltre che la neurodegenerazione AD-specifica. La valutazione dei tre suddetti processi patofisiologici, quando possibile, diventa quindi un’esigenza sia dal punto di vista clinico, per una sempre più corretta e precoce diagnosi, che dal punto di vista di ricerca, per un’ottima selezione dei partecipanti da includere in studi farmacologici.

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https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/29438037