Questa la domanda di Rebecca: “Gentili Signori, sono al bivio di una decisione che mi logora molto: mio padre, 88 anni, con una demenza significativa, fino a dicembre ha vissuto in casa, con una badante e 3 uscite settimanali presso un centro diurno specializzato per l’Alzheimer. A causa della mia situazione economica non posso più mantenere queste condizioni e ho accettato di inserirlo in una RSA convenzionata con il Comune di residenza. La mia sensazione è che non sia ovviamente accudito come prima, o meglio accudito diversamente; mi sembra più attivo ma anche più arrabbiato e diciamo confuso/perso. La mia questione è la seguente: vorrei essere aiutata a capire se, in base alle vostre esperienze, è meglio conservare l’indipendenza a casa, oppure se è meglio lasciare che si abitui alla RSA?”

Gentile Signora,
comprendiamo l’intensità del conflitto interiore che sta vivendo davanti al bivio di cui ci ha fatto parte.

Se la gestione del famigliare malato sia meglio a casa o in RSA dipende dalle forze che famiglia o RSA riescono a mettere in campo. Infatti, la decisione del momento in cui traferire un malato dalla propria casa alla RSA non è una prescrizione medica, ma è una scelta della famiglia basata sulle proprie risorse e possibilità di assistenza. Pertanto, questa scelta è estremamente individuale, considerando comunque che quel momento è un fatto generalmente prima o poi ineluttabile. Se una famiglia ha scelto la RSA perchè non ce la faceva più, la risposta davanti al bivio è già data.

In merito, invece, alla sua sensazione che il papà sia più confuso e aggressivo dacchè è in RSA rimanda ad un fenomeno tipico, ovvero un paziente in RSA all’inizio è sempre un pò più confuso, perché il cambiamento di ambiente può essere disorientante per chiunque, non soltanto per il paziente. Infatti, durante la vita le persone stabiliscono legami di attaccamento con i luoghi alla stregua dei legami affettivi umani. Tali legami ambientali rivestono una grande importanza per il mantenimento della propria identità nel tempo, rappresentando punti di riferimento spaziali e temporali. L’allontanamento dai luoghi (ad es., per il trasferimento in un altro ambiente), e dalle persone, comporta un’iniziale esperienza di confusione che permane finchè, dopo alcuni giorni/poche settimane, il paziente non si abitua alle nuove routine. L’aggressività, inoltre, può derivare da una reazione protettiva, in quanto il paziente inizialmente non comprende le informazioni che provengono da un ambiente nuovo, interpretando come minaccia certi segnali. Con il tempo, che permette l’adattamento alle novità, il senso di estraneità e di pericolo che il paziente sperimenta si può attenuare fino a scomparire.

Lo Staff di CentroAlzheimer.org